RESIDENZA FISCALE, ISCRIZIONE ALL’A.I.R.E E TASSAZIONE DEI REDDITI ESTERI

In linea generale, si può affermare che per stabilire dove un cittadino è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti occorre considerare il concetto di “residenza fiscale”.

LA RESIDENZA FISCALE

Come espressamente indicato nell’art. 2 del Tuir (DPR 917/1986), per le imposte sui redditi si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone che:

  • per la maggior parte del periodo d’imposta (cioè, per almeno 183 giorni all’anno) sono iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia
  • hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza
  • si sono trasferiti in uno dei Paesi a fiscalità privilegiata (salvo prova contraria).

LA NUOVA DEFINIZIONE DELLA RESIDENZA DELLE PERSONE FISICHE: L’articolo 1 del Dlgs 27 dicembre 2023 n. 209, in vigore dal 1° gennaio 2024 ha dato una nuova definizione di residenza delle persone fisiche, prevedendo che ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato, ovvero che sono ivi presenti.

Viene, quindi, modificato il criterio di collegamento per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche, sostituendo la nozione di domicilio, di natura civilistica, con un criterio di natura sostanziale del domicilio, inteso come il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.

I requisiti di residenza devono sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta, valorizzando, ai fini del computo dei giorni, anche periodi tra loro non consecutivi nonché le frazioni del giorno.

Rimane invariato il criterio di natura formale, in base al quale si presumono residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta – 183 giorni – nelle anagrafi della popolazione residente. Si tratta, però, di una presunzione relativa e, pertanto, è ammessa la prova contraria di residenza all’estero.

TASSAZIONE

La regola generale prevede che tutti i cittadini italiani che lavorano all’estero e che non sono iscritti all’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) sono fiscalmente residenti in Italia e devono ogni anno presentare la dichiarazione e pagare le imposte sui redditi ovunque prodotti.

Le disposizioni normative fiscali nazionali seguono il principio della tassazione dell’utile mondiale o “world wide taxation”, sul quale si fonda il sistema fiscale di molti paesi europei, il quale sottopone a tassazione ai fini dell’imposizione personale:

  • per i soggetti residenti, tutti i redditi posseduti, in Italia ed all’estero
  • per i soggetti non residenti, i soli elementi reddituali prodotti nel territorio dello Stato, in base al c.d. “principio di territorialità”

Quindi il cittadino che lavora all’estero, mantenendo la residenza italiana, ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi e pagare le imposte per redditi ovunque prodotti.

ISCRIZIONE ALL’ANAGRAFE DEGLI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO

L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (A.I.R.E.) è stata istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470. Essa è gestita dai Comuni sulla base dei dati e delle informazioni provenienti dalle Rappresentanze consolari all’estero.

Devono iscriversi all’A.I.R.E. i cittadini che fissano all’estero la dimora abituale e quelli che già vi risiedono, sia perché nati all’estero che per successivo acquisto della cittadinanza italiana a qualsiasi titolo.

La richiesta, che è gratuita, va effettuata attraverso il portale Servizi Consolari Online (esteri.it) compilando l’apposito modulo di richiesta (reperibile nei siti web degli Uffici consolari), a cui allegare la documentazione richiesta dall’Ufficio consolare. 

Con l’iscrizione all’A.I.R.E. si viene cancellati dall’Anagrafe della popolazione residente del Comune italiano di provenienza. La conseguenza del venir meno della residenza fiscale in Italia è che si risponderà in Italia solo dei redditi ivi prodotti.

Il cittadino italiano deve pagare le imposte in Italia per qualsiasi reddito prodotto nel mondo,

il cittadino estero residente in Italia paga in Italia solo le imposte relative ai redditi ivi percepiti.

Eccezione: se ci si iscrive all’A.I.R.E. anche il cittadino italiano dichiarerà e pagherà imposte solo per gli eventuali redditi prodotti in Italia.

LE CONVENZIONI CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI

Per evitare che i propri cittadini subiscano una doppia imposizione, che si avrebbe in seguito al pagamento delle imposte sia nel Paese di produzione del reddito sia in quello di residenza, l’Italia ha stipulato con molti Paesi Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e riconosce un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero nel momento in cui si dichiarano i redditi in Italia con l’applicazione di una norma (articolo 165) contenuta nel Tuir.

Le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sono degli accordi tra due Stati, attraverso i quali viene disciplinata la sovranità tributaria di entrambi, in base al principio della reciprocità.

Generalmente, le Convenzioni non prevedono che sia un unico Stato, tra i due contraenti, ad assoggettare a tassazione un determinato tipo di reddito (tassazione esclusiva). Per questo motivo, è necessario dichiarare in Italia anche i redditi conseguiti all’estero. La doppia imposizione viene comunque eliminata mediante l’applicazione dell’articolo 165 del Tuir, secondo il quale le imposte pagate all’estero a titolo definitivo sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino a concorrenza della quota di imposta italiana.

Le imposte estere si considerano pagate a titolo definitivo quando esse non sono ripetibili o è stata presentata la dichiarazione dei redditi all’estero o vi è un’apposita certificazione di definitività dell’imposta, rilasciata dalle autorità estere.

Sul sito del Dipartimento delle Finanze sono pubblicate tutte le convenzioni stipulate dall’Italia:

https://www.finanze.gov.it/it/Fiscalita-dellUnione-europea-e-internazionale/convenzioni-e-accordi/convenzioni-per-evitare-le-doppie-imposizioni/

LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DEI NON RESIDENTI

I soggetti non residenti che percepiscono redditi imponibili prodotti in Italia, sono tenuti a dichiararli all’Amministrazione finanziaria attraverso la presentazione del Modello Redditi P.F. Questo salvo i casi di esclusione previsti espressamente.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 23 del TUIR:

  • Redditi fondiari – Si tratta del:
    • Reddito dominicale e agrario dei terreni siti in Italia;
    • Rendita catastale o il reddito da locazione di fabbricati ubicati in Italia.
  • Redditi di capitale – Si tratta, principalmente, di: dividendi, interessi attivi, rendite, etc derivanti da enti residenti in Italia;
  • Redditi di lavoro dipendente – Si tratta di prestazioni di lavoro sotto la direzione altrui, pensioni, e redditi assimilati erogate da enti residenti in Italia;
  • Redditi di lavoro autonomo – Si tratta di redditi che derivano dall’esercizio di arti o professioni, redditi dallo sfruttamento di diritti d’autore, redditi di amministratore e sindaci di società, sul territorio nazionale;
  • Redditi di impresa – Si tratta di redditi che derivano dall’esercizio di impresa commerciale nel territorio nazionale;
  • Redditi diversi – Si tratta di redditi che derivano da attività occasionale, affitto di terreni, plusvalenze, etc, sul territorio nazionale.

 

TASSAZIONE DEI REDDITI DI CAPITALE (DIVIDENDI)

Con riferimento ai dividendi si può analizzare:

Dividendi da società residenti in Italia verso soggetti non residenti

Nei confronti di non residenti, è prevista l’esenzione o l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o l’imposta sostitutiva.

La normativa relativa alla distribuzione di utili di partecipazione da parte di società ed enti residenti a soggetti non residenti è stabilita dall’art. 27, comma 3, D.P.R. n. 600/1973. In questo caso, la società residente che eroga dividendi ad un soggetto non residente deve applicare una ritenuta a titolo d’imposta all’atto del pagamento pari al 26%. Tuttavia, accade spesso che le Convenzioni contro le doppie imposizioni, in presenza di specifici presupposti, riducano, sino talvolta ad azzerare, le aliquote delle ritenute a titolo d’imposta. Al fine di applicare le minori aliquote eventualmente previste dalle singole Convenzioni, il socio non residente deve predisporre prima della percezione delle somme una specifica documentazione, che attesti i requisiti necessari per beneficiare delle agevolazioni previste dalla Convenzione di riferimento (o dalla legge).

Dividendi esteri percepiti da soggetti residenti in Italia

In caso di società non residente che distribuisce un dividendo occorre fare riferimento all’articolo 44 del TUIR. La normativa fiscale nazionale dal 2018 prevede una tassazione dei dividendi percepiti da soggetti privati attraverso una ritenuta alla fonte del 26% indipendentemente dalla partecipazione “qualificata” o meno (percentuale di diritti di voto o partecipazione al capitale superiore al 25%).

Il dividendo estero, al momento in cui viene erogato, potrebbe scontare una ritenuta in uscita (c.d. “withholding tax“); questo avviene in tutti quei casi in cui la normativa tributaria del Paese estero in questione lo prevede. Ciò comporta che il soggetto italiano percettore ha davanti a sé una doppia tassazione del dividendo estero percepito (sia da parte del paese estero che dall’Italia).

E’ prevista, pertanto, la possibilità di non subire questa doppia tassazione, attraverso il metodo dell’esenzione: la tassazione italiana sul dividendo ha come base imponibile da assoggettare a tassazione non è quella dell’intero dividendo erogato, bensì, quella determinata sul c.d. “netto frontiera “.

 In particolare, le fattispecie che possiamo avere sono le seguenti:

  • Ritenuta a titolo di imposta. L’articolo 27, commi 4, 4-bis e 5 del DPR n. 600/73, prevede l’assoggettamento dei dividendi esteri a ritenuta a titolo di imposta del 26%, se al momento dell’incasso interviene un intermediario residente (che procederà alla trattenuta), da calcolarsi sui dividendi percepiti al netto delle ritenute subite nello Stato estero di residenza della società erogante: la base imponibile rappresenta il c.d. “netto frontiera“;
  • Imposta sostitutiva. L’articolo 18, comma 1, del DPR n. 917/86, stabilisce l’assoggettamento ad imposta sostitutiva, sempre con aliquota del 26%, nel caso in cui l’incasso da parte dei soci avvenga senza l’intervento di un intermediario residente (sempre avendo come base imponibile il netto di frontiera).  In questo caso l’imposta deve essere liquidata tramite modello Redditi P.F. nel quadro RM (in particolare il rigo RM12 indicando il codice relativo a “utili di fonte estera derivanti da partecipazioni di cui alla lettera c e c-bis) dell’art. 67 del TUIR)